Tao-tè-ching. Il libro della via e della virtù
Forse nessun testo, come il "Tao-te-ching", racchiude tanta sapienza in così poche parole. Scritto, secondo la tradizione cinese, nel 6 secolo a.C. dal leggendario Lao-tzu e secondo i filologi, in un'eta oscillante fra il 6 e il 3 secolo a.C., il "Tao-te-ching" è il libro del fondatore taoista. Ma la dottrina esposta in questa breve opera non nasce certo con Lao-tzu. Bisogna dire, anzi, che proprio il "Tao-te-ching" ci introduce a quelle categorie senza le quali una larga parte della civiltà cinese arcaica ci sarebbe affatto incomprensibile: il 'Tao', la "Via", regolatore della totalità; il 'Te', "Virtù", ma piuttosto nel senso di "potenza magica"; lo 'Yin' e lo 'Yang', princìpi femminile e maschile; il 'Wu wei', "Non-agire", ricetta della suprema efficacia. Tali categorie sono al tempo stesso cosmiche, personali, politiche, sociali, sapienziali, e ci appaiono in brevi frasi illusoriamente semplici, che hanno una risonanza senza fine, quella di un insegnamento che è insieme il massimo della paradossalità e il massimo dell'evidenza. Questo testo meraviglioso fu giudicato da Marcel Granet "propriamente intraducibile" - e forse anche per questo è uno dei testi orientali che hanno avuto più traduzioni in Occidente, alcune assai importanti, come quelle di Wilhelm e di Waley, molte altre assolutamente inadeguate. Quella che qui si presenta è opera del grande sinologo olandese J.J. L. Duyvendak: abbastanza recente, ma ormai classica, è il risultato di una vera "lotta a corpo a corpo con il testo stesso" e ci offre non solo delle soluzioni linguistiche letterariamente felicissime, ma anche un prezioso commento, dove Duyvendak illumina tutti i punti decisivi del testo, segnalandone ogni volta le difficoltà e riportando le varie interpretazioni che ne sono state date da commentatori cinesi e occidentali.
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