La terra rossa
""La Terra Rossa" è uno dei pochissimi libri felici che ci siano al mondo" ha scritto Jorge Luis Borges. Di fatto, questo romanzo possiede la felicità, nell'unico modo, quasi inconsapevole, con cui si può possedere la più volatile dea: una felicità contagiosa, anche per il lettore, che incontra questo libro come uno di quegli amori immediati, rapidissimi e crudeli che balenano nelle sue pagine. A Montevideo, verso il 1870, in un periodo di aspre contese civili, il giovane inglese Stephen Lamb abbandona la sua sposa-bambina, Paquita, per trovare lavoro all'interno del Paese. Quando egli parte con questo proposito, e una certa boria britannica, non sa che la sua mente segue un pretesto labilissimo, che servirà solo ad adescarlo all'avventura, nella incantata esplorazione della immensa Terra Rossa, illusoriamente monotona come il mare, punteggiata dalle isole delle 'estancias', che colano vicende imprevedibili. Stephen Lamb, come ogni ulisside, ha quell'accortezza che gli permette di indovinare sempre i gesti giusti - o per lo meno i gesti che salvano la vita - in un mondo dove vigono regole tutte da scoprire; per il resto è un giovane "oppresso dalle armi e dalla corazza della civiltà", ma che non osa confessare a se stesso la noia che quest'ultima gli ispira: carico di vitalità, è pronto a trovare qualsiasi scusa per rimandare il ritorno a quella sua 'adorata moglie'. E ogni scusa è un incontro, ogni incontro la scoperta di un intreccio sorprendente di vite, e ogni scoperta porta presto le sue conseguenze, che talora si dissolvono nel fumo di una pistola o nella luce dei coltelli. E ogni luogo lascia nella memoria del lettore un grappolo di immagini animate da quella portentosa vividezza nel particolare che è il segreto, come sentì Conrad: "Non è possibile dire come quest'uomo raggiunga i suoi effetti. Scrive come l'erba cresce". Molte e disparate cose incontriamo insieme a Stephen Lamb: 'gauchos' taciturni e temibili, inglesi eccentrici e miserabili che [...]
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