Voci da Kabul. Voci da Baghdad. Ora parla la gente
"Afghanistan, autunno 2001. Iraq, primavera 2003. Due Paesi diversi, ma una sola e identica guerra, sotto una doppia etichetta: da una parte l'impegno americano e degli alleati contro il 'terrorismo internazionale', in reazione al disastro dell'11 settembre 2001; dall'altra, una crociata per liberare dei popoli oppressi. A interventi militari ormai conclusi, l'impegno contro il 'terrorismo internazionale' non ha ancora trovato una vera legittimazione. L''invasione-liberazione' - ora che sono stati allontanati dal potere i talebani in Afghanistan così come Saddam Hussein in Iraq - continua a suscitare molti interrogativi. Che cosa ha comportato tutto questo in realtà per gli uomini e le donne di Afghanistan e Iraq nella vita di ogni giorno? Soffrivano tutti sotto la dittatura? Si sono sentiti rassicurati? L'Occidente, ansioso di imporre la propria democrazia e i propri valori, li ha convinti in un modo o nell'altro della loro fondatezza? A spingermi in entrambi i Paesi è stata precisamente l'intenzione di porre queste domande ai diretti interessati subito dopo gli interventi bellici, di certo riusciti sul piano militare, ma sulle cui conseguenze a lungo termine non ci si può pronunciare. Non è poi così complicato recarsi sul posto, rinunciando a un reddito immediato, e prendersi il tempo di viaggiare con i mezzi di trasporto locali. Così ci si mette nelle migliori condizioni per tentare di condividere con gli abitanti del luogo momenti di vera e intensa confidenza. Quindi sono partita sola e, contando unicamente sulle mie risorse, mi sono diretta in Afghanistan e in Iraq per passare dodici settimane in ognuno di questi due Paesi. E ho quasi sempre avuto l'impressione - come sulle montagne cecene, le steppe del Pamir, la valle della Fergana dell'Asia centrale, le 'qala' sperdute al centro dell'Afghanistan, la periferia di Peshawar e le pianure aride del 'triangolo sunnita' iracheno - che queste persone mi parlassero col cuore." (Dall'Introduzione)
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