Daniel Stein, traduttore
Daniel Stein è l'eroe di questo romanzo fatto di decine di testimonianze diverse: lettere, interviste, diari, articoli di giornale, atti giudiziari, dai quali i vari personaggi si affacciano per far udire la propria voce, la propria "verità". E la figura di Daniel Stein, il ragazzo ebreo che lavorando come traduttore per la Gestapo riesce a far fuggire trecento ebrei dal ghetto di Emsk, s'impone su tutte. Il suo è lo stesso dono delle lingue che fu fatto agli apostoli nella Pentecoste, è la capacità di mettere in comunicazione gli uomini e le culture. Lo confermano le tappe del suo cammino: l'arresto, una fuga avventurosa, fattività fra i partigiani, l'approdo in un convento femminile, la conversione al cattolicesimo, la scelta di diventare frate carmelitano e infine, dopo la conclusione della guerra, il trasferimento in Israele. Qui, a Haifa, Stein fonda una comunità ispirata alla primissima chiesa, la "chiesa di Giacomo", dove la messa si celebra in ebraico e si tenta una sintesi di ebraismo e cristianesimo. Ma al di là dei fatti, è il magnetismo di Stein a tenere insieme questo puzzle narrativo, storie che si dispiegano fra l'Europa orientale dell'Olocausto e l'Israele del dopoguerra, la terra dove, come dice un personaggio, "ogni vita è un romanzo".