Era il figlio di un pentito
Questo libro contiene il resoconto di un incubo. Parla di un bambino rapito, maltrattato, un bambino in prigione, che dimagrisce ogni giorno, e che impara a odiare suo padre, a fidarsi dei suoi futuri assassini. Parla della tragedia di un ragazzino che pagò con la vita il torto di essere il figlio di un mafioso che collaborava con la giustizia. Giuseppe, figlio del pentito Santino Di Matteo, ha 11 anni quando viene sequestrato, la mattina del 23 novembre 1993. La famiglia quel giorno cerca il ragazzo presso tutti gli ospedali. Poi arrivano un biglietto - un pizzino - con scritto "Tappaci la bocca" (tappa la bocca, cioè, al padre pentito), e due foto del piccolo ostaggio. Giuseppe langue per 779 giorni e notti in mano ai suoi carcerieri mafiosi. Lo spostano da un covo all'altro, bendato, legato, incatenato, in un viaggio di chilometri e chilometri per mezza Sicilia, che assume i ritmi frenetici di una corsa sempre più disperata. E infine Giuseppe sparisce nel nulla: la mafia l'ha strangolato, il suo corpo è stato dissolto nell'acido. A redigere il manoscritto da cui prende le mosse questo libro è stato uno dei suoi carcerieri e assassini. Lavorare sul testo di Giuseppe Monticciolo, un ex mafioso, anch'egli oggi collaboratore di giustizia, che fu il responsabile logistico della feroce segregazione del piccolo Giuseppe, correggerlo e integrarlo con colloqui e riflessioni, ha significato interrogarsi duramente su una tragedia terribile, sulle sue dinamiche, sul suo significato. (Vincenzo Vasile)
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