Che cosa credo
"Quando, di pomeriggio, entriamo in una delle nostre chiese, il lumino rosso è solo": i fedeli scarseggiano mentre "il cielo tace, come se aspettasse". Così scriveva Jean Guitton nel 1971 confidando a un libro il suo 'credo'; temeva allora che 'la fabbrica' avrebbe sostituito 'la sinagoga e la chiesa'. Oggi, più di vent'anni dopo, in crisi sembrano soprattutto le varie versioni della cosiddetta 'religione dell'umanità': forse è venuto il tempo di "sorridere della maiuscola con cui scriviamo la parola 'Uomo', corne sorridiamo della divinizzazione degli imperatori". Nel tramonto delle ideologie che promettevano il Paradiso su questa Terra, il 'Dio geloso' di Abramo e di Mosè si prende la sua rivincita su 'idoli' ben più insidiosi degli antichi imperatori di Roma: la Scienza, il Progresso, la Tecnica o, magari, la Classe o la Nazione. Ma ciò rende ancora più attuale la domanda di Guitton: "Che cosa sarebbe la religione senza la fede?" Certo, la 'fede' non è il 'fideismo', non cresce separata dalla ragione - se è vero che i filosofi non hanno mai smesso "di occuparsi di Dio", anche se apparentemente facevano dell'altro. Ma le 'prove' più o meno classiche dell'esistenza del Creatore sono espressioni del desiderio della creatura e non possono mai costringere a credere. La fede ha sempre in sé qualcosa dell''amour fou'. Quanto a Dio, egli "obbliga se stesso a lasciarci liberi di credere o non credere in lui"; il Signore del Mondo si rivela 'discreto', forse per riservarsi il diritto di perdonare anche chi contesta la sua esistenza. Così, l'eccellenza di una religione si misura anche dalla qualità degli atei che produce e, in un mornento di vecchi e nuovi fondamentalismi, le parole di Jean Guitton, il filosofo cattolico che ha sempre amato dialogare con chi pensa all'opposto, costituiscono un invito alla tolleranza. (Giulio Giorello)
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