Il padre fantasma
Chicago, fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta: tra Little Richard e il baseball, i noir di Jim Thompson e il bowling, "Il cavaliere della valle solitaria" con Alan Ladd e le corse dei cavalli, l'educazione poco sentimentale di un ragazzo che diventerà l'autore di "Gente di notte" e "Cuore selvaggio", e che per il momento vive coltivando il mito di un padre spesso assente e morto troppo presto. Un personaggio losco e affascinante, una conoscenza indispensabile nel giro dei trafficanti di liquori e della vita notturna, che non parla al figlio finché non ha cinque anni "perché tanto non può capirlo", amico degli amici di Al Capone, e con più di uno scheletro nell'armadio. "Il padre fantasma" non è né un'autobiografia né pura 'fiction', ma lo spaccato di un'America che credeva ancora di essere il migliore dei mondi possibili, ma dietro cui si aggiravano ombre oscure. Con gli occhi attoniti di un ragazzino, vediamo un Paese dove violenza e morte sono all'ordine del giorno, ma dove è ancora possibile l'innocenza di chi scopre, a dieci anni, che "il mondo deve essere davvero un posto selvaggio e misterioso". Salutato dai critici americani come l'opera più matura di Gifford, nel "Padre fantasma" ritroviamo il suo gusto per il paradosso e l'umorismo macabro, la sua capacità di fissare un personaggio in poche righe, la sua inesauribile arte affabulatoria.
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