Stati di cinema. Festival ossessione
Cinema indipendente è bello. Non è facile, non è difficile definire 'il cinema indipendente italiano'. Più probabile che sia impossibile, o che non esista. Anteprima 86 (un anno così simile ad un 68 inverso) offre spazio sia alla facilità che alla difficoltà di definizione. Nell'anno in cui due piccoli film italiani di esordienti affiorano nelle sezioni parallele di Cannes, e in cui molte altre opere prime si annunciano o si portano a termine (e intanto Moretti si è argentato a Berlino), si potrebbe pensare a un ricambio effettivo lentamente in atto. E' addirittura iniziata (e durerà tutta l'estate) un'ampia rassegna sulla Terza Rete TV della Rai dedicata agli 'autori del cinema contemporaneo', intitolata "Teste dure" dal titolo di un premiato a Bellaria, e poi inaugurata dal dittico "Giulia in ottobre" e "Rosso di sera" sempre a Bellaria premiato l'anno scorso. Eppure, come questo ciclo televisivo è quasi fisiologicamente costretto all'eterogeneità, così pare già in giro d'orizzonte completo che abbraccia in un'estate tv il campo in fondo ristretto di un ghetto. Poco conosciuto, il cinema italiano contemporaneo giovane indipendente è già costretto nell'antologia, nella retrospettiva, nello sguardo televisivo? La 'povertà' orgogliosa di Bellaria/Anteprima, la linea di tendenza abbastanza precisata (e sia pur linea d'ombra) di un cinema 'indigeno' e non romanizzato o comunque non troppo debitore a non troppe situazioni locali, poteri, committenze, si confrontano quest'anno con una forte apparenza di movimento del sistema cinetelevisivo italiano, con annunci di nuovi investimenti non solo esteri (Cannon), di travasi di capitali da un settore all'altro (vedi, in aggiunta a quello RAI ormai ben più che decennale, l'annunciato impegno di ReteItalia nel cinema). Le tracce retrospettive (i 'debutti nei generi', i 'film dell'articolo 28'), insieme col convegno dedicato all''articolo 28', forma unica e dominante del finanziamento pubblico al cinema d'autore, accennano a alcune delle 'dipendenze' primarie con cui si trovano presto o tardi a convivere le indipendenze produttive e d'autore. Forse inattuale, stretta tra ribalte nazionali più storicamente rinomate od internazionalmente più note, Bellaria 'segue' il corso produttivo di alcuni desideri di cinema/video non ancora spenti nella professione, nella ripetitività, nella 'tranquillità'. 'Forma vuota', la rassegna attende la promessa di film finalmente 'inattuali', fuori dal calendario degli obblighi festivalieri e fuori dalla necessità di mostrare il loro budget. Ma per 'inattuali' si intende soprattutto senza la preoccupazione ideologica (oggi dominante più che mai, per quanto si tenda a pensare il contrario) di 'essere attuali', di capire o anticipare i tempi, fossero anche solo quelli del cinema (vedi l'ansia quasi eccessiva di 'professionalità', i bei seminari di sceneggiatura con mostri sacri americani, la certezza che 'il cinema esiste' e quindi è qualcosa che si può semplicemente possedere o attaccare, in cui si può entrare, che si può e si deve 'imparare'). Contro il privilegio dinastico-cinematografico, e anche contro l'illusione tecnica, a Bellaria ancora una volta si spera, nella programmata confusione di supporti di durate di ambizioni, di veder nascere e morire alcune immagini e idee degne di nascere e di morire, 'indipendenti' dai loro presupposti tecnico-economici e di committenza; capaci di far dimenticare 'come dove e perché' sono nate, e quindi capaci di farcelo poi domandare. (Enrico Ghezzi)