Dopo l'impero

Dopo l'impero

L'impero americano non esiste più. Può sembrare una tesi paradossale in un momento in cui la presenza degli Stati Uniti si impone sulla scena internazionale, ma l'attivismo bellico dell'amministrazione Bush più che un segnale di potenza è una dimostrazione di debolezza. L'America osservata da Emmanuel Todd è un gigante dai piedi d'argilla: con un esercito capace di conquistare ma non di tenere i territori, un'industria in costante declino e, soprattutto, un'economia sempre più instabile che conta per i suoi consumi più che per la produzione. Gli Stati Uniti, infatti, dipendono in misura crescente dalle importazioni da Asia e Europa, mentre le esportazioni continuano a diminuire per entità e importanza. Allo scopo di esorcizzare questa sgradevole dipendenza e rimanere al centro del mondo, la Casa Bianca è costretta a trovare una soluzione simbolica. Ecco allora la crociata contro il terrorismo mondiale e l'"asse del male", la decisione di agire, come contro l'Iraq, senza l'appoggio internazionale: "micromilitarismo teatrale" a vantaggio di nemici e alleati in cui anche il tanto citato petrolio del golfo Persico potrebbe essere solo un pretesto. Per garantire vittorie sicure si concentra una potenza aeronavale immensa contro stati deboli e, allo stesso tempo, non si risolve mai nessuna crisi in modo definitivo, così da giustificare interventi militari continui. Il mondo descritto nelle pagine di "Dopo l'impero" è diventato ormai troppo grande, troppo complesso e dinamico per accettare la supremazia di un'unica nazione, è un mondo in cui la bilancia del potere economico si è spostata a favore di Europa, Russia e Asia, e in cui gli Stati Uniti dovranno rassegnarsi a essere non più una superpotenza ma una nazione a fianco delle altre.
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