Andrea del Sarto. Maestro della "maniera moderna"
L'auspicio di questo libro è quello d'essere utile a incrinare, se non proprio a rovesciare, i luoghi comuni che tuttora in parte sopravvivono intorno alla figura d'Andrea del Sarto e alla sua pittura. Nel volgere delle pagine si tenterà di capire s'egli fosse - conforme a quel che si legge nel Vasari e in tanti suoi emuli acritici - "timido d'animo" (ch'è come dire pavido e titubante, fino a sacrificare le doti elargitegli dalla Provvidenza e a vivere schivo e appartato, rinunciando a onori e benessere), o se invece avesse consapevolmente scelto (ancorché magari spinto dall'indole) una linea di vita semplice e tuttavia culturalmente viva, di conseguenza praticando gente del pari semplice e nel contempo però anche intellettuali che come lui prediligevano la via dell'austerità. Si cercherà di vedere se può essere stimato d'animo debole un artefice che poco sopra i vent'anni si assume l'onere d'un ciclo d'affreschi in uno dei luoghi più frequentati di Firenze; se sia pavido uno che prende la via della corte di Francia (voluto da un re come Francesco I e senza sapere quanto vi soggiornerà), mentre la più parte degli artisti suoi conterranei a mal fatica in quella stagione s'allontanava da Firenze; se sia da ritenere spaurito e trepidante un pittore che dipinge opere sacre di contenuto ardito proprio mentre si vive in un clima di sospetti d'eresie; se possa essere schivo uno che come qui si congettura - si mette a capo d'un manipolo d'artefici rinomati per farsi portabandiera dell'espressione figurativa fiorentina in una disputa appassionata che contrapponeva quella stessa espressione alla 'maniera' romana; se sia da giudicare poi così appartato un uomo ch'è chiamato a imprese collettive d'impegno cospicuo, e per di più verisimilmente in un ruolo di protagonista: ruolo coperto fors'anche per via d'una relazione stretta con Baccio d'Agnolo, architetto e legnaiolo, che per la sua capacità imprenditoriale dovette farsi capocordata d'artisti in più d'una circostanza. E si ricorderà che Baccio era pure titolare d'una bottega floridissima in cui si dava convegno (anche con cultori d'altre discipline) per ragionare dell'arte e dei suoi indirizzi, in uno dei momenti più cruciali dell'età moderna, quanto a scelte espressive; e Andrea - proprio per la consentaneità con Baccio, che qui decisamente si prospetta - non avrà mancato di dire frequentemente la sua. Finalmente è presumibile che chi voglia lo stesso conformarsi all'usata immagine d'un Sarto trepido e schivo, incontrerà qualche difficoltà nel ritrovarselo partecipe di congreghe d'intellettuali e colleghi suoi che facevano feste spregiudicate e stravaganti, quantunque incentrate su temi di classica matrice. E mentre seguendolo nella sua vicenda umana - si segnaleranno quegli aspetti che lo redimono dal cliché costruito da fonti non equanimi, le intercalate immagini delle sue opere provvederanno da sole a illustrarne l'altezza della poesia. Una poesia - essa pure austera, e non di meno elegante e soave - che non solo fu subito apprezzata, ma divenne modello per chi, qualche decennio dopo, si trovò a tradurre in forma l'ideologia e i sentimenti maturati negli anni del Concilio di Trento. Sicché a buon diritto si potrà ravvisare in Andrea un maestro della 'maniera moderna', e nel contempo una delle voci più limpide e vibranti della cultura cattolica riformata.
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