Scrittori ungheresi allo specchio
Con questo volume il lettore italiano viene invitato a guardare in una specie di 'caleidoscopio letterario': vi troverà una moltitudine di pezzi di vetro variopinti che, secondo la voglia e l'abilità dell'osservatore, mostrerà - in un lampo di tempo e come per scherzo, come per "Blitz-witz" per l'appunto - gli autoritratti di cinquantatre scrittori ungheresi, volti che sono stati incisi, ciascuno su un'unica scheggia di quello strano materiale, duro e traslucido, che è il vetro, da loro stessi (in lingua ungherese, con la sapienza del maestro) e da un gruppo di giovani traduttori (in lingua italiana, con l'umiltà del discepolo e del seguace). Come è dovere di chi invita, tentiamo qui di seguito, con alcune informazioni preliminari, di assicurare agli invitati un minimo di agio per la circostanza. Il caleidoscopio, si sa, funziona perché contiene degli specchietti che fanno 'giocare' le immagini degli oggetti che si trovano fra essi. Gli scrittori ungheresi hanno voluto 'farsi giocare' dai metaforici specchi che i lettori di cultura italiana e quelli di cultura ungherese vorranno adoperare leggendo. Con il piacere e il 'rischio' di ogni gioco. Qui prevale il 'rischio', naturalmente, come avviene quando si tratta di operazioni a densità interculturale. E quando, come nel nostro caso, le relative 'regole del gioco' sono poco discusse. In effetti, con l'ottocentesca modernità liberale a impianto nazionale (impianto in Ungheria particolarmente sentito) la letteratura ha smesso di 'giocare' secondo le plurisecolari regole greco-latine, così l'antico legame fra la comunità dei letterati italiani e quella dei letterati ungheresi è rimasto privo di esplicite 'regole del gioco'.
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