Fuga verso l'alto
Declivi bianchi, oceani di neve, cime frastagliate, spazi immensi. La fatica della salita, la vertigine della discesa: sugli sci, vicino al cielo e lontano da tutto. Dopo otto anni passati in Sudamerica, Francis von Ruthern – figlio di uno Junker prussiano – si rifugia in una vacanza perenne, senza ieri e senza domani, solo un corpo da sfinire e giornate sempre uguali. La sera, tra alberghi di lusso e sale da ballo, incrocia chi come lui, estraneo a se stesso, non vuole più lasciare quella neve che ferma il tempo, dona il silenzio, promette l’oblio. Durante la sua assenza, il mondo aristocratico da cui proviene sparisce, spazzato via dalla crisi: la madre amata è morta, la tenuta di famiglia perduta per sempre; Francis non ha più radici, identità, appartenenza. La Storia, intanto, avanza e travolge: il nazismo è agli albori, mai nominato eppure onnipresente; e allora meglio la fuga, meglio sciare e dimenticare, meglio bere e incontrare donne belle e tristi che non possono consolare, meglio non tornare laggiù, dove suonano i tamburi di guerra. Prodotto di un tempo violento e terminale, Fuga verso l’alto restituisce il nitore e la tensione di una scrittura che ha la stessa identità metamorfica dell’autrice, una figura scandalosamente moderna che ha il suo correlativo più vero in questi personaggi sospesi in un viaggio senza fine, tra fuga e ritorno, eterni stranieri, trasgressivi e sensuali, irriducibilmente assetati di vita.