Dissertazione filosofica sulla morte
Nell’ottobre 1732, l’editore William Mears dà alle stampe un libretto controverso, che sarà subito giudicato dai suoi primi lettori tra «i più empi e immorali mai letti». In quelle pagine si rivendicava infatti, con lucide argomentazioni, il diritto inalienabile di ogni individuo al suicidio e all’eutanasia: affermazioni inaccettabili e irricevibili per la popolazione cristiana europea di allora. Empio e immorale era ritenuto d’altronde anche il suo autore, il conte Alberto Radicati di Passerano, anticlericale piemontese esule in Inghilterra, che per quell’opera sarà arrestato insieme all’editore, terminando poi i suoi giorni in disgrazia. Ci sarebbero voluti due secoli perché la fama del conte Radicati e del suo scandaloso pamphlet fosse riabilitata grazie per esempio a Piero Gobetti, che lo definì il «primo illuminista della penisola». Oggi, a trecento anni da quella prima pubblicazione, la Dissertazione filosofica sulla morte – qui nella veste curata da Frédéric Ieva – continua a invitarci, con il medesimo fervore, a difendere il diritto all’autodeterminazione degli individui sulla propria esistenza, a emanciparci dalle costrizioni mentali e dalle verità prescritte, a salvaguardare la libertà da ogni ingiusta imposizione.