Le parole
Cresciuto in una famiglia borghese che tra i suoi membri vantava intellettuali, professori e pastori luterani, figlio unico adorato e coccolato, molto presto Jean-Paul Sartre, nella grande biblioteca di casa, scoprì la letteratura. Ripercorrendo la sua infanzia e giocando con la memoria, Sartre ci parla delle prime letture, dei suoi quaderni di racconti, dei trionfi infantili e di quelli dell'adolescenza, facendoci ritrovare nella sua storia la storia di un'epoca. Ricorda quando nello studio del nonno materno, steso su un tappeto, intraprendeva meravigliosi viaggi attraverso i libri, alla scoperta di cieli costellati di parole incomprensibili che gli resistevano come fossero scrigni colmi di segreti. Parole ricche, da soppesare, di cui bisognava decidere il senso. Ma anche parole profetiche, salvifiche, che davano forma al mondo e che, rimbombo dopo rimbombo, scalfittura dopo scalfittura, hanno originato l'universo teorico e letterario di Sartre, il cosmo che tanta parte del nostro immaginario novecentesco ha plasmato. È stato così che Sartre ha preso a scrivere, a partire da quelle parole, perché le riteneva sublimazione della realtà: parole con cui al tempo stesso afferrare e creare le cose, catturarle vive nella trappola delle frasi e restituirle al senso che altrimenti non avrebbero avuto. Scrivere era il tentativo di nominare e realizzare l'indicibile nulla, di ancorare il mondo ai sogni, di strappare la vita al caso. "Le parole" è un capolavoro di autoanalisi, il testamento di un genio perseverante, l'interpretazione retrospettiva del proprio passato, il tempo ritrovato dell'infanzia nell'autoritratto della maturità. Non il racconto di un'infanzia straordinaria, ma la straordinaria fantasia sull'infanzia di un uomo che lavorava sulle parole fino a quando queste non riflettevano esattamente i suoi pensieri. A testimoniare che la vita stessa è un ultimo atto di creazione, Sartre ritrova le motivazioni che l'hanno portato a diventare scrittore e, insieme, il significato profondo della letteratura.