Nudo con filo spinato
«L'essere finito più volte in prigione e in ospedale psichiatrico, arrestato dalle forze dell'ordine in seguito alle sue azioni, per Pavlenskij non ha assolutamente nulla a che fare con il contesto narrativo del sacrificio, della vittima, eroica o meno. Gli eroi, secondo Pavlenskij, fanno parte di un discorso e di un immaginario da cui egli intende prendere le distanze. L'artista politico non è mai un eroe, perché cerca prima di tutto di affermare la propria libertà, ossia lavora per mostrare, o meglio smascherare, i meccanismi del potere. Le forze dell'ordine, il personale sanitario, i medici, ma anche i cittadini coinvolti, sono fin dall'inizio parte integrante dell'azione. Così come, dilatando i tempi, nel disegno artistico rientrano gli atti processuali, i protocolli delle indagini, le perquisizioni, le modalità di trasmissione mediale. In tutto ciò si è comunque riportati a lui, a Pavlenskij, nucleo iniziale, motore degli eventi. Allo spettatore tocca posizionarsi rispetto a lui, stare da una parte o dall'altra, farsi coinvolgere o meno. I confini dell'azione artistica diventano permeabili, liquidi, indistinti e il "precedente" creato entra, a vari livelli, a far parte della vita degli spettatori. L'inizio dell'opera coincide con l'apparire del suo corpo nello spazio urbano. Qualcosa di alieno, disturbante. Una cesura, un taglio nella tela della normalità del quotidiano, dei suoi ritmi e della sua superficie. È in questo senso che possiamo leggere la nudità di Pavlenskij e il suo mutismo, la sua passività, l'estrema riduzione dei suoi gesti. Al minimo necessario. Una sorta di statua vivente in mezzo al mondo in movimento. La passività scultorea diviene il motore di ciò che accade. Nudo con filo spinato è, a sua volta, una sorta di performance. Una messa in scena dialogica, vagamente filosofica. Un ritratto che vuole uscire dalla sua cornice. La domanda finale potrebbe essere: esiste dentro di noi lo spazio per un ascolto o un incontro?» (Agnese Grieco)