Il libro dei bambini soli
Chiunque è stato un bambino solo. Sono stati vissuti attimi verticali, sotto un sole abbacinante o in una tenebra incerta, in cui il mondo ha assunto una prospettiva radicale, colpendo come un fato i piccoli cuccioli di uomo, questi antesignani degli adulti che con gli adulti non hanno nulla a che fare, poiché la loro natura è più angelica e demonica che umana. Gli attimi decisivi dell'infanzia hanno iscritto in ognuno un graffito interiore che la letteratura conosce bene, avendone da sempre fatto un feticcio e tentato di vendicarli: il buio in uno scantinato da attraversare vincendo l'orrore, la desolazione della bambola rotta, il ludibrio crudele dei coetanei, la nascita di chi è venuto dopo e ha distrutto la primogenitura, la punizione incomprensibile. Si potrebbe andare avanti all'infinito e, in effetti, la narrazione lo fa. Come accade con il libro d'esordio di Enrico Sibilla, che per episodi progressivi disegna la geometria implacabile dell'iniziazione alla vita, convocando l'intero immaginario da cui emergono le nostre generazioni. Che si tratti di una chiesa in cui si celebra una comunione o dell'arena in cui il circo mostra la verità dello spettacolo universale o del tavolo a cui si consuma il pasto o del campo da gioco in cui si è sbagliata irrimediabilmente la prodezza atletica - qualunque elemento è perentorio, qualunque situazione vive in una luce priva di sfumature, qualunque personaggio è memorabile, qualunque parola è squadrata e decisiva.