Paralleli e paradossi. Pensieri sulla musica, la politica e la società
Persino la più astratta delle arti si vena di risonanze politiche quando a parlarne sono un intellettuale di origine palestinese e un figlio della diaspora ebraica. In questo testo, il critico e il direttore d'orchestra usano la metafora della musica per confrontarsi sul significato civile dell'arte, sul valore formativo dell'ascolto dei grandi compositori, sulle difficoltà dell'interpretazione, sui parallelismi tra arte del suono e arte della parola. Dall'intreccio di riflessioni del musicista dilettante e del musicista di fama internazionale prende forma una visione complessa dell'universo sonoro. Luogo irreale ed effimero che si anima per la breve durata delle note, la musica vive sospesa tra due dimensioni: soggetta alle regole della fisica, costruita su precisi rapporti matematici, è al tempo stesso capace di esprimere sentimenti e ideali con un'intensità che l'immagine e la parola raramente attingono. Il tentativo di venire a capo di questo paradosso è l'occasione per riflettere sul significato politico dell'opera di Beethoven, sulla lezione di Furtwängler, sul magistero professionale e umano di Toscanini, sulle difficoltà morali di un direttore d'orchestra ebreo innamorato di Wagner. E proprio la scelta di Barenboim di dirigere le opere wagneriane a Bayreuth, il tempio della musica ariana, diventa l'esempio concreto che l'arte ha il potere di superare odi e divisioni, e che uno dei suoi compiti è indicare ai popoli un futuro di convivenza possibile.