Ciò che ci unisce non ha tempo. Una famiglia ebrea nella grande Vienna
"Ciò che ci unisce non ha tempo" scriveva David Oppenheim alla futura moglie Amalie Pollak nel 1905. Professore di lettere classiche, prima collaboratore di Sigmund Freud poi amico e sostenitore di Alfred Adler, Oppenheim attraversò splendori e miserie della storia culturale e intellettuale di Vienna nella prima metà del Novecento. Morì nel Lager di Theresienstadt il 18 febbraio 1943, lontano dalle figlie e dagli amici, condividendo la sorte di milioni di ebrei. Oltre mezzo secolo dopo il filosofo Peter Singer torna a Vienna per ricucire quello strappo nella sua storia familiare, ritrovare, almeno nella memoria, il nonno materno che non ebbe mai la possibilità di conoscere, riallacciare un legame "che non ha tempo". Legge gli scritti di Oppenheim e vi trova idee simili alle proprie sull'etica e sulla natura umana. Investiga pazientemente i documenti di famiglia e le lettere conservate dalla zia e scopre come David e Amalie si incontrarono, si innamorarono e decisero di sposarsi, quali fossero le loro aspirazioni professionali, le differenti concezioni dell'ebraismo. Recupera il saggio che Oppenheim scrisse con Freud, mai pubblicato a causa dei dissidi in seno alla Società psicoanalitica di Vienna, e vi scorge la difficoltà di tener fede alle proprie idee, allora come ora. Alternando la narrazione di toccanti particolari biografici alle riflessioni su grandi questioni, pubbliche e private, "Ciò che ci unisce non ha tempo" ripercorre la Belle Epoque, la Grande Guerra, l'avvento del nazifascismo, lo scoppio della Seconda guerra mondiale e rievoca l'immagine di una capitale in fermento che era il cuore dell'Europa, crocevia di idee sempre nuove. La storia e il destino di questa cultura impongono a Singer di riconsiderare uno dei fondamenti del proprio pensiero: quanto possiamo far conto sui valori universali e sulla ragione umana?
Momentaneamente non ordinabile