Non in nostro nome
Ci sono vari modi di rendere accettabile un conflitto: si può chiamarlo 'guerra giusta' e affermare che si combatte per gli ideali più aIti e nobiIi, si possono usare eufemismi come 'bombe intelligenti' o 'bombardamenti chirurgici' per nascondere il fatto che si muore comunque. E' quello che hanno sempre fatto gli Stati Uniti, dalla Prima guerra mondiale fino all'offensiva odierna contro il terrorismo. Ma gli interventi militari della 'sentinella del mondo' non si sono mai ispirati al principio di autodeterminazione dei popoli o a un più generico amore per la giustizia. Un esempio per tutti: gli Stati Uniti (che possiedono il maggior numero di armi di distruzione di massa e non hanno mai esitato a usarle) insistono sulla necessità di tenere sotto controllo, anche con la forza, gli arsenali dell'Iraq, ma non quelli dei paesi che sono loro alleati commerciali. Dal Vietnam alla guerra del Golfo, dai bombardamenti in Jugoslavia fino alle azioni in Afghanistan dopo l'11 settembre: se osserviamo ciò che è successo fino a oggi è indubbio che gli interessi economici e politici hanno vinto su ogni considerazione umanitaria. Da anni Howard Zinn è impegnato a sostenere un pacifismo intransigente, da quando durante la Seconda guerra mondiale sganciava bombe sulle città tedesche senza sapere se i bersagli colpiti fossero civili o militari. Un pacifismo che non voglia apparire velleitario deve però avanzare proposte persuasive, capaci di incidere sulle scelte politiche. "Non in nostro nome" vuole rispondere a questa necessità, nella convinzione che il patriottismo più autentico si esprima nella resistenza spontanea, che può nascere solo in seno alla società civile.
Momentaneamente non ordinabile