Trieste. O del nessun luogo
Trieste non richiede spiegazioni. Il suo destino è tutto nella vicenda degli Asburgo, che all'inizio del Settecento la scelsero come sbocco sul Mediterraneo per il loro impero continentale. A loro si devono i palazzi austeri e ordinati; loro la vollero votata al commercio e le impressero lo spirito operoso che sarebbe diventato il suo vanto. La storia è stata implacabile in questa terra di confine. Qui sorse l'unico campo di sterminio nazista d'Italia, qui si trovano le foibe, e neanche la fine della guerra ha concesso tregua. Jan Morris, la scrittrice gallese che ha raccontato le città del mondo, in oltre cinquant'anni di assidui soggiorni è stata testimone di grandi eventi e trasformazioni: la contesa tra Italia e Jugoslavia per il possesso della città, il definitivo declino del suo orgoglio imperiale, lo stemperarsi dei conflitti ideologici ed etnici che l'avevano lacerata. Non li ha dimenticati. Ma ha scelto di raccontare il genio della città evocando il fascino indefinibile che esercita sui viaggiatori, l'enigma che si cela dietro la sua compostezza. Sotto l'effetto di questa suggestione le strade ordinate, avare di monumenti e scorci indimenticabili, sembrano un invito a vagare senza meta, a perdersi inseguendo un ricordo o una fantasia. Lasciano intuire ciò che ha spinto Joyce nelle taverne lungo i moli e ha ispirato le epifanie immortalate nelle sue opere, ciò che ha suggerito a Saba i 'pensieri più puri' e che oggi Jan Morris battezza 'effetto Trieste'. Nelle pagine di queste raffinate memorie il caos della storia appare lontano e diventa materia per una meditazione sul trascorrere dell'esistenza, la separazione dagli affetti, la nostalgia della patria. Per chi sa ascoltarlo, questo luogo di frontiera parla il linguaggio dei sentimenti universali.
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