Bianco d'Algeria
Quando la scrittura va al cuore delle cose -per intensità di stile, per essenzialità dei temi trattati- è impossibile costringere un libro in una definizione di genere: muovendo da un dialogo ideale, in prima persona, con tre amici intellettuali uccisi dalla violenza di una guerra civile sempre più feroce, Assia Djerbar dilata i confini di Bianco d'Algeria sino a farne il racconto autobiografico di una donna e di tutto il suo popolo. La perdita, la cancellazione e il distacco, ma anche la capacità dei morti di vivere a lungo nell'anima di chi resti, abitano queste pagine con la solennità di un rito. Non importa se a essere evocati sono gli amici (un sociologo, uno psichiatra e un drammaturgo), gli scrittori di generazioni passate come Albert Camus e Frantz Fanon, o i giornalisti recentemente uccisi dagli integralisti: tutti gli intellettuali risuscitati dall'autore hanno fatto della propria penna uno strumento di impegno nei confronti del reale, di rinnovamento della vita e di esplorazione della morte. Tema tanto più cruciale, per Assia Djebar come per gli altri scrittori algerini, in quanto la pratica stessa della scrittura implica una presa di posizione sulla propria identità. Dagli episodi inediti della guerra d'indipendenza fino alla crisi attuale, prende corpo grazie a queste riflessioni, grazie al loro stile spoglio e straordinariamente suggestivo, la rivisitazione di una cutura millenaria, sospesa fra passati e presente, ricca di tutte le contraddizioni che la coesistenza di popoli diversi comporta. E la storia di questa civiltà sembra svolgersi in un bianco accecante, colore della morte nella tradizione araba, ma anche simbolo di pace e di silenzio, riverbero del sole sulla polvere dell'Algeria.
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