Gli eretici di Modena. Fede e potere alla metà del Cinquecento
Nei decenni centrali del Cinquecento era in corso in tutta Europa una battaglia per il controllo delle coscienze che, con la nascita di varie confessioni, avrebbe ridisegnato il volto della cristianità occidentale. Anche in un territorio in apparenza marginale come Modena, operosa città dedita ai traffici e alla mercanzia, i colpi di coda di quegli eventi fecero sentire il loro peso. La comunità ereticale che si sviluppò nel cuore della futura capitale estense vide commercianti, lanaioli, frati e maestri di scuola farsi promotori di nuove dottrine talvolta pericolosamente vicine al radicalismo di gruppi guardati con crescente sospetto, come quelli anabattistici. Il "contagio" non risparmiò nemmeno i più alti ranghi del clero cittadino che, come accadde per vari esponenti del capitolo della cattedrale, osteggiò l'operato riformatore dei vescovi. Fu solo con la nomina di un inquisitore allo scranno più alto della diocesi che, conclusa la scomoda parentesi del governo di Giovanni Morone, parve tornare l'ordine. Almeno in apparenza.
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