Il confino fascista. L'arma silenziosa del regime

Il confino fascista. L'arma silenziosa del regime

Divenuto strumento centrale, sebbene non unico, della repressione politica nell'Italia fascista, il confino di polizia, basato sulla pratica del detenere senza imputare, contribuì considerevolmente a distruggere le basi dello Stato di diritto nel nostro paese. Per la sua procedura, più veloce e agile rispetto a quella di un processo penale ordinario, questa misura fu facilmente applicabile: per essere assegnati al confino era sufficiente un mero sospetto di pericolosità. Camilla Poesie esamina, oltre agli aspetti tecnici della misura punitiva, anche il rapporto pubblico/privato individuato nello studio di documenti ufficiali e di testimonianze, diari e memorie. La vita di coloro che conobbero quest'esperienza fu infatti segnata dalle dure condizioni alimentari, abitative, sanitarie, dalle violenze fisiche e psicologiche commesse dalle guardie e dalla sostanziale indifferenza della popolazione locale. Essere diventati cittadini senza diritti, non potere disporre di alcuna garanzia, non potere rispondere e controbattere alle accuse era l'aspetto più duro da sostenere per i confinati. L'analisi dell'intreccio fra sfera individuale e contesto generale restituisce uno spaccato chiaro della repressione fascista e demolisce il persistente giudizio sul confino come uno strumento blando e con poche conseguenze sulla vita dei detenuti.
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Recensione del libro fornita da lottavo.it

la recensione de L'Ottavo

Questo studio nasce dalla rielaborazione di una ricerca di dottorato realizzata, in cotutela tra l’Università Ca’ Foscari di Venezia e la Freire Univeristat di Berlino, dalla giovane storica fiorentina Camilla Poesio; a testimoniare la solidità delle ricerche concorrono i due prestigiosi premi (Gallerano ed Ettore Gallo, entrambi ottenuti nel 2009) che Poesio ha ricevuto per la propria tesi.

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