L'artificio e l'emozione. L'attore nel teatro del Novecento
I personaggi sono fatti della materia di cui sono fatti i sogni, secondo la straordinaria immagine che usa Prospero nella "Tempesta" di Shakespeare. Gli attori sono invece della materia di cui è fatta la realtà: di carne e sangue, respiro e voce, gesti, azioni. E agiscono nello spazio e nel tempo, qui e ora. Personaggio e attore appartengono a due mondi separati, diversi, eppure devono trovare un modo e un luogo in cui incontrarsi, perché di questo è fatta, tradizionalmente, la rappresentazione teatrale. Il luogo dell'incontro è naturalmente il palcoscenico, in cui agiscono gli attori ma che agli spettatori appare la casa in cui abitano i personaggi. Questo è il lascito del teatro della tradizione alla cultura teatrale del Novecento. Ma il Novecento è trasgressivo e radicale, sempre poco disponibile al rispetto della tradizione. Dal Simbolismo alle Avanguardie storiche, da Stanislavskij a Mejerchol'd, da Craig a Vachtangov, da Artaud a Brecht, da Grotowski al Living Theatre, da Peter Brook a Eugenio Barba, da Lee Strasberg a Dario Fo, i teorici e gli attori del Novecento hanno spesso rotto, o almeno allentato, il legame così stretto che li univa ai personaggi.
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