Quando fare è credere. I riti sacrificali dei romani
La religione dei Romani ha una pessima fama. Rispetto alle religioni universali, quella praticata nell'antica Roma sembra poco interessante. Il concetto di rivelazione le è ignoto, non ha credenze né principi indiscutibili, è costituita esclusivamente da riti e obblighi rituali in una infinita varietà di modalità, secondo la divinità, il luogo e il momento, secondo il contesto e l'intenzione. Non si sacrificava allo stesso modo agli dei celesti e a quelli inferi, agli dei e alle dee; un sacrificio celebrato davanti a un tempio o a un altare in città non assomigliava in nulla a un sacrificio offerto in campagna, in un bosco sacro o sull'acqua. Ogni sacrificio, ogni festa aveva la sua originalità. I sacrifici potevano avere un carattere pubblico a molti e vari livelli - lo Stato romano, le varie città dell'Italia o delle province, le unità militari, i quartieri di Roma - ma potevano anche esprimere la devozione della miriade di gruppi privati che componevano la città: sacrifici domestici, di collegi o di corporazioni. Non esisteva, a Roma, un libro dei sacrifici o un codice sacrificale che enumerasse i gesti e le preghiere da compiere secondo l'ordine canonico ed esponesse la giustificazione teologica di quei riti e di quei gesti. In una religione di tradizione orale un libro del genere non esisteva. E proprio questo ritualismo, spesso prosaico, a essere stato a lungo frainteso o disprezzato.
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