Civitas. Storia della cittadinanza in Europa. 4.L'età dei totalitarismi e della democrazia
L'Ottocento non è un 'secolo breve'; non lo è nemmeno per il 'discorso della cittadinanza', per quel discorso che la cultura giuridica europea ha elaborato in un lungo arco di tempo proponendo volta a volta risposte diverse alle medesime 'grandi domande': le domande sul soggetto, sui suoi diritti e sui suoi doveri, sul suo rapporto con la comunità politica. Anche per il discorso della cittadinanza l'Ottocento è un secolo lungo: lo è perché molte delle domande, delle aspettative, dei valori, delle tensioni che lo impegnano sono prefigurate e annunciate negli anni di quella rivoluzione che in Francia a fine Settecento si propone come uno spartiacque fra il 'vecchio' e il 'nuovo' regime; lo è perché numerosi assunti sviluppati nel corso del secolo mantengono una loro vitalità alle soglie del secolo successivo e trovano solo nella crisi radicale scatenata dalla prima guerra mondiale la sanzione del loro esaurimento. Il fatto che l'Ottocento sia 'lungo' non significa che manchino in esso colpi di scena, discontinuità, trasformazioni: il Quarantotto costituisce sicuramente un momento di rilevante discontinuità e tuttavia fra i tanti discorsi della cittadinanza che si sviluppano nella seconda metà del secolo molti affondano le radici in modelli e schemi argomentativi venuti alla luce ben prima della 'svolta' quarantottesca. Sono discorsi della cittadinanza che coniugano sempre di nuovo (e in modi sempre diversi) la libertà, la proprietà, i diritti con le esigenze dell'ordine e con la rappresentazione di un qualche ente collettivo: è in questo gioco combinatorio che si inquadra l'inesauribile polemica che oppone gli 'spenceriani' ai teorici della 'terza via', i difensori della libertà dei soggetti e della formazione 'automatica' dell'ordine ai sostenitori della necessaria mediazione di un ente collettivo. (Dall'introduzione)
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