In battaglia, quando l'uva è matura. Quarant'anni di Afghanistan
All'aeroporto di Kabul grandi cartelloni colorati, in lingua inglese, danno il benvenuto 'nella terra degli uomini coraggiosi'. Forse è l'unica iscrizione autentica, voluta dalle autorità afgane, in mezzo ai riti della sicurezza imposti dagli occidentali dentro quell'edificio. E un avvertimento più che una garanzia, il proclama che lì non abita gente docile. La tradizione ricorda che questo paese da secoli è l'orgoglioso e turbolento 'cimitero degli imperi', o meglio degli eserciti imperiali. Dopo oltre trenta anni di macerie l'Afghanistan è un mondo dissociato tra aquiloni e kalashnikov, tra giardini segreti curati con amore e attentati brutali, continui, tra vendette tribali e nevrosi del mondo digitale. Per la burocrazia internazionale qui sei afgani uccisi possono valere come due pecore. Nel carcere di Kandahar i prigionieri si sono cuciti da soli le labbra per protestare contro le guardie corrotte. Qui lo stesso commando americano che ha catturato Bin Laden, l'élite del primo esercito al mondo, ha perso parte dei suoi uomini in un attacco dei talebani malnutriti e malvestiti. Ma nelle valli del Badakhshan altri integralisti non hanno mai sfiorato sessanta nuove scuole femminili. A Kabul un libraio analfabeta ha salvato libri introvabili, e oggi un giovanissimo profugo afgano studia in Europa i robot applicati alle neuroscienze. Queste pagine raccontano senza pregiudizi storie di vita autentiche e inattese, ambientate in un paese che avremmo voluto conoscere da tempo.
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