Passavamo sulla terra leggeri
S’ard nell’antica lingua significa «danzatori e lettori delle stelle». Un popolo pacifico, la sua origine si situa in una lingua di terra tra due fiumi (allusione, mitica e interpretativa, alla Mesopotamia). Poi la deportazione da parte di «barbari» popoli del mare, la schiavitù, la rivolta e la fuga avventurosa, e l’approdo nell’isola, a cui è dato per la prima volta il nome. Da qui inizia la costruzione della sua civiltà originale. La vicenda generale, «dei millenni di isolamento tra bronzetti e nuraghe», è tramandata intessendola senza sosta di peripezie di donne uomini ed eroi, di cronache di fatti quotidiani, di passaggi di stranieri e stranezze, di battesimi di luoghi e di oggetti, di nascite di riti e arti, di cose memorabili e miti suggestivi. Un’età felice culminante nell’era dei «giudici», i sovrani ereditari – fin dal primo di essi, una donna – dell’autonomia della Sardegna caratterizzata da forme di partecipazione popolare. E una data segna il termine della storia maggiore e delle vicissitudini qui raccontate: il 1409, la fine dell’indipendenza dell’Isola e la conquista aragonese. L’ambizione di Sergio Atzeni, amatissimo scrittore morto ancora giovane (e antropologo, storico delle culture, aedo, cacciatore di storie inattuali), era di raccontare tutta la sua Sardegna e la sua storia millenaria, non attraverso un romanzo storico, ma in una narrazione che fosse eco della sua storia, come appunto nella tradizione orale. Così questo suo ultimo libro ha la singolarità di essere una storia della autocoscienza di un popolo, che «ha la presa di un romanzo d’avventura» (Marcello Fois nell’Introduzione).
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