Amarsi con Shakespeare

Amarsi con Shakespeare

«Mai vicenda di vero amore poté trascorrere liscia» dice un personaggio del Sogno di una notte d’estate. Questo è il principale comune denominatore riguardo alla concezione erotica all’interno delle opere di William Shakespeare, insieme al fatto che in esse l’amore «si esprime nel desiderio fisico, e anche quando si fa estasi (come in Romeo e Giulietta), non si stacca mai dalla propria base sessuale».Per il resto, cimentandosi con differenti generi drammatici il Bardo imbocca di volta in volta direzioni disparate: nelle commedie «sono le donne a condurre il gioco dell’amore: estremamente argute e spiritose, si divertono oltretutto a recitare ‘la parte in commedia’, in particolar modo quando si travestono da ragazzo». L’idea stessa di ‘tragedia d’amore shakespeariana’ risulta invece problematica, se è vero che «la morte degli innamorati è in effetti un compimento e una consumazione della loro passione»: il che è evidentissimo nell’ebbrezza anche sensuale con cui si conclude Antonio e Cleopatra. E che dire di un problem play come Troilo e Cressida? Né tragedia né commedia, forse proprio per questo le sue tribolate storie d’amore (quella fra Achille e Patroclo al pari della vicenda dei due protagonisti) avvincono e sgomentano oggi più che mai.La pubblicazione di questo libro del grande shakespearologo americano Maurice Charney avvenne una ventina d’anni fa con un certo anticipo sui tempi, se l’autore poteva scrivere: «In Shakespeare c’è molta più fluidità tra discorso omoerotico e discorso eterosessuale di quanto non si voglia ammettere in questa fine del ventesimo secolo. Il Nostro si muove liberamente tra amore omo ed etero, senza alcuna esitazione o timore di contraddizione». Temi oggi centrali nella conversazione pubblica: e il capitolo «Discorsi omoerotici» servirà senz’altro a rinfocolare il dibattito, come quello sulle «Definizioni di genere», in cui Charney dialoga con le – spesso divergenti – letture femministe di Shakespeare. Della cui opera non dimentica l’aspetto ridanciano, come nel capitolo intitolato «Amore, lussuria e doppi sensi».Alzi la mano dunque chi non si sente mai chiamato in causa dall’«infinita varietà» – i cui fili Charney annoda balzando a sorpresa da un dramma e da un poema all’altro, grazie ad un orecchio sbalorditivo per gli echi intertestuali – dell’eros shakespeariano, a sua volta giocoforza interrogato con gli occhi del presente: chiara è ad esempio la misoginia del personaggio di Amleto, che, sottaciuta o ridimensionata in nome di una mitica, assoluta «contemporaneità» di Shakespeare, ci vieterebbe l’effettiva contezza del suo capolavoro.
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