Il sarto della stradalunga
Italo Calvino fu tra i primi lettori del dattiloscritto di questo romanzo. Scrisse a caldo, nel 1952: "Io mi sono divertito molto a leggerlo. E' tutto scritto bene, con una continua inventiva di linguaggio e di spirito. In certi momenti è proprio bello (il dialogo di due che guardano la luna). È disorganico, si potrebbe far finire in qualsiasi punto o continuarlo finché si vuole, è un puro arabesco che parte da un materiale neorealistico ma non lo compone in romanzo, lo arzigogola in un affresco statico e continuo, o in una specie di soliloquio". "Il sarto della stradalunga" uscì nei "Gettoni" Einaudi nel 1954. Ne scrisse il risvolto Vittorini: "C'è una grazia settecentesca in questa storia d'un sarto e della sua famiglia che ci viene da un paese dei monti Erei, interno della Sicilia orientale, provincia di Catania. Di un Settecento popolare, beninteso, e precisamente del tipo tra primitivo e arcadico, cioè ingenuo e a colori grezzi, ma anche lezioso, in cui hanno forma le statue in legno o ceramica di molti santi delle chiese siciliane. Il valore poetico del romanzo è però in qualcosa di più profondo: nel senso delicatamente cosmico col quale l'autore rappresenta il piccolo mondo paesano su cui c'intrattiene, trovando anche nelle erbe e negli animali, nei sassi, nella polvere, nella luce della luna o del sole, un moto o un grido di partecipazione alle povere peripezie del sarto e dei suoi". Ha scritto Sciascia: "Il libro di Bonaviri piacque per la fresca ispirazione, per la favolosa trascrizione di una povera e amara vita quotidiana: quel che di lezioso e di scaltro notò qualche critico, e noi come semplici lettori, era un modo di auscultazione della realtà e non una tecnica calcolata".Con una nota di Salvatore Silvano Nigro.
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