Segreta Penelope
Per chiunque abbia fatto parte della generazione che fu giovane negli anni Settanta del Novecento, la generazione dell'autrice, Sara - la Penelope segreta, che s'è rifiutata di aspettare, di questa indagine narrativa su un suicidio - è un essere molto familiare. C'era una Sara, più o meno vicina al modello, quasi in ogni gruppo, nota, conosciuta o mitizzata in ogni compagnia di amici e di colleghi di studio. Magnetica incarnazione dello spirito del tempo; prova apparente che il buon selvaggio non fosse un mito ma il futuro liberato dalla corruzione del potere civile. E l'incarnazione si realizzava nella libertà sessuale: naturale, autentica, mai esibita, antiideologica, Eros trionfante su Thanatos, Dioniso su Apollo, l'innocenza infantile del piacere sulla malizia del vizio. E naturalmente tale identificazione della libertà con la sessualità doveva apparire ancora più naturale ed anticonformista nella Spagna da poco uscita dal bigottismo del Franchismo della Sara di questo libro. Ma nessuno sapeva cosa ne sarebbe stato di una Sara dopo il tragico inevitabile; dopo il trauma di scoprire che anche quella libertà era solitaria e illusoria, e obbligatorio il ritorno ai ruoli donneschi di madre e di moglie.Il romanzo di Alicia Giménez-Bartlett invece parte da qui. E mira a ricostruire che cosa successe a Sara nel corso del tempo del dopo. Lo rievocano, i giorni successivi al suicidio di Sara, le amiche che formavano il suo gruppo, il bolso personaggio che ne divenne il marito, la figlia che mai poteva amarla, fino alla scoperta del più intimo ultimo segreto, dell'ultimo inaccettabile amore: pezzi di memoria strappati con dolore dall'amica che narra in prima persona; ricordi nostalgici e pieni di un affetto senza comprensione; oppure le giustificazioni del conformismo alle ferite inferte come in riti sacrificali di espiazione. La rivincita sorda, progressiva e crudele dell'ordine sul caos creativo. E il ritratto della splendida persona sconfitta dalla Penelope segreta appostata in ogni vita di donna, si piega in modo inquietante a una domanda sul tempo: che è troppo e troppo poco.
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