I Cenci

I Cenci

La difficile arte della cronaca - come mostrano Stendhal e Manzoni, Croce e Sciascia - consiste nell'opera più ardua per un autore: saper mettersi da parte. Il giovane Alexandre Dumas è qui alle prese con il caso di Beatrice Cenci, più o meno negli stessi anni in cui Stendhal si occupava di altre storie straordinarie del Rinascimento italiano. E come Stendhal metteva la sua elegante oggettività al servizio dell'enigma della passione amorosa estrema, Dumas si sforza di capire e far capire la violenza. La violenza di una fanciulla che si vendica atrocemente dell'abuso del padre. Ma anche la violenza di un'età ambigua come il Rinascimento, di totale sottomissione patriarcale, di giustizia intesa come pura vendetta, nella cui sospensione tra un'epoca antica e la nuova si insinua anche però il tentativo moderno di distinguere, di trovare attenuanti e specificazioni 'storiche' alla visione dogmatica del crimine. Dumas inserì nella raccolta dei "Delitti celebri" la storia della fanciulla bellissima e patricida immortalata da pittori e che affascinò scrittori numerosi. Beatrice Cenci ordì l'assassinio del padre, che la sottoponeva a violenze e dissolutezze, e fu condannata a morte e giustiziata, mentre la pietà popolare la piangeva. Dumas lo narra con il gusto accentuato per l'orrore, il nero e l'intrico che i lettori si aspettavano da lui, e che rende evidente il debito che ha il futuro genere giallo con i racconti veri e sciagurati del primo Ottocento.
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