Il vicolo blu
"Volevo recuperare i turbamenti, gli equilibri e gli squilibri di una civiltà di contadini. I quali vivevano la ricchezza d'una esistenza in cui vedevano delle deità liberatrici dovunque: nel vento, nella pioggia, nel gemmare dei mandorli, nei cieli stellati" disse, molti anni fa, Bonaviri del suo capolavoro d'esordio, "Il sarto della stradalunga", del 1954: il sarto era suo padre, e il romanzo raccontava di fabbri, vasai, di artigiani e contadini e la loro panteistica fusione con la materia animata che li sostentava. E con la sua prosa visionaria, il romanzo si discostava dal solco dominante del neorealismo. Come un circolo che si completa, quando il suo passato è già quasi tutto scomparso dal ricordo diretto di qualcuno, Bonaviri ritorna con un fiato di intensità rimodulato dal tempo, sui luoghi e sui quadri de "Il sarto della stradalunga": al suo mondo paesano. Se 'la vita è una grande nuvola di nebbia', se c'è un nulla che inghiotte e che stringe dappertutto - ed è così certo per la memoria - l'unico balsamo è quello di strapparle, vita e memorie, al tempo: proiettarle in una meno violabile dimensione, qual è il mondo magico e materialistico di Bonaviri. Dove la magia dei bambini protagonisti - lui, i suoi fratelli e sorelle - va d'accordo col naturalismo ciclico e immortale dei loro adulti contadini, capaci ancora di comporre una laude per violino sul morire dei capretti che sgozzano, e dei papaveri recisi sul solco dei campi arati. E si può citare per questo mondo quel che un grande antropologo diceva delle culture antiche, che a differenza delle moderne la loro dimensione non è la storia ma il cosmo. Ed è lo stesso per i figli del sarto della stradalunga, che vissero nel vicolo blu: abitano il cosmo.
Immediatamente disponibile nei seguenti formati:
Codice |
Condizioni |
Prezzo |
|
SEME564 |
Nuovo |
9,00 |
Acquista
|