L'occhio lungo
Franco Enna è lo scrittore che forse ha provincializzato il giallo italiano. Savinio prima, ma dopo lo stesso Calvino avevano dettato una sentenza definitiva: il paesaggio domestico non è adatto a fare da scenario a un poliziesco. Cannarozzo, 'alias' Enna, senza osare ancora presentarsi con un nome così poco in tono con le atmosfere del thriller, osava invece tra i primi, negli anni Cinquanta, tuffare il delitto, il torbido e l'intrigo nelle nostre pigre e crepuscolari province, magari le più folcloristiche, come Marsala o Pantelleria. E creava un genere che Alberto Tedeschi, il dominus del Giallo Mondadori, battezzò 'giallo d'arte', intendendo con ciò quello che noi chiameremmo giallo realistico: inchieste ordinarie che si dipanano un indizio dietro l'altro, tese su ritmi verosimili, condotte da poliziotti in carne e ossa e famiglie sulle spalle, su copioni tratti dalla cronaca nera del momento. E inventava forse il primo poliziotto siciliano: realista con saldi principi, lento e sensuale come un gattone, generoso e romantico. Insomma, una formula diventata oggi una garanzia di successo. Benché tardo - degli anni Settanta - "L'occhio lungo" ci sposta in un'atmosfera deliziosamente retrò: tra la Bassa Padana, Milano e la Svizzera Italiana, commendatori arricchiti e esportatori di valuta, femmine viziate dal denaro, e giovani spregiudicate alla Françoise Sagan. Fefé Sartori indaga sul sequestro di una maliarda miliardaria, e finisce lontano, a giocare la propria vita sul piatto della giustizia.
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