Elzeviro

Elzeviro

"Qualche volta, invecchiando, e con la mano ormai viziata a quella misura di otto nove cartelline manoscritte, penso che se non avessi avuto quella risorsa dove sono andato spicciolando il fiore del mio talento, avrei potuto scrivere qualche libro migliore e di meno occasionale impegno. Ma forse anche questa è una mia illusione". In questa confessione di un importante giornalista letterario, scovata da Beppe Benvenuto, può forse condensarsi la parabola critica dell'elzeviro. Risorsa, scuola di talenti, canale tra una cultura troppo aulica e un popolo troppo ignorante, pedagogia dello scriver chiaro e stringente; oppure al contrario spreco di scrittori, nella rincorsa della brillantezza, del contingente, occasione di complicità anche economica tra intellettuali che va sotto il nome di società letteraria, ipocrita inseguimento del 'lettore'? L'elzeviro, ovverosia il pezzo di fondo, prosa d'arte, polemica o recensione che fosse, che compariva nelle terze pagine, le pagine culturali, dei quotidiani, fu un genere figlio del Novecento e figlio dell'Italia. Inesistente altrove, ebbe una data di nascita precisa e un inventore, quando il direttore Bergamini, sul "Giornale d'ltalia" del 10 aprile del 1901 dedicò tutta una pagina (la terza appunto) al debutto della "Francesca da Rimini" dannunziana, per l'interpretazione della Eleonora Duse. Il suo momento d'oro furono gli anni tra le due guerre (ospitando forse l'unica fronda al regime fascista). Vi si cimentarono tutti i grandi scrittori del secolo; alcuni grandi intellettuali come Emilio Cecchi o come Pietro Pancrazi ne furono dei veri specialisti; ebbe tematiche svariate, così come si guadagnò i giudizi critici più divergenti, dall'entusiastico favore al disprezzo. Oggi è forse morto. La sua storia, e la sua storia critica, il suo bilancio, senza mancare di analizzare i motivi di fondo connessi alle sorti della terza pagina, vale a dire i rapporti tra giornalismo critica e cultura, sono rappresentati in questo volume.
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