In difesa della storia
Il carattere oggettivo e di verità delle ricostruzioni storiche - che Luciano Canfora discute nell'Introduzione al volume con attenzione particolare al mondo antico - è stato sottoposto nelle varie epoche, a due tipi di scetticismo. Il primo era quello che negava alla storia scientificità in quanto difettava dei caratteri propri delle scienze esatte e empiriche. (...) Vi era poi un secondo tipo di attacco. Più forte e più decostruttivo. Che la storia non fosse altro che una menzogna o una giustificazione dei vincitori o di un'ideologia. Che ammantasse la sua fallacia con retoriche di oggettività, irragiungibile quest'ultima per l'oggetto stesso della disciplina. (...)Negli ultimi decenni, entro lo sviluppo della teoria del post-moderno, questo tipo di disintegrazione della storia ha ripreso vigore. (...)Con l'affermazione che la storia non sarebbe altro che un tipo particolare di narrazione; che nessuna discriminante vi sia tra la storia e la finzione letteraria, essendo la verità storica niente di più che ciò che gli storici concordano debba essere. A questo tipo di disintegrazione della certezza storica, per quanto problematicamente e criticamente questa sia assunta, il libro di Evans si oppone. L'autore, oltre che un metodologo, è anche uno storico di professione, sa bene, cioè, cosa facciano gli storici effettivamente.Anche per questa ragione il suo agile e penetrante argomentare, il raggio vasto e insieme sintetico della sua analisi, in difesa della storia rimanda a un altro celebre libro di metodologia storica scritto da uno storico. "Sei lezioni sulla storia" di E.H. Carr, agli inizi degli anni Sessanta, polemizzava con chi, sotto il pretesto che la storia a differenza delle scienze esatte, dipendesse da soggettività e interpretazioni, le negava ogni valore di verità. Evans, trent'anni dopo, si confronta col tipo di decostruttivismo che aspira ad annullare la differenza tra metodo, retorica e verità.
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