Da New York al selvaggio West nel 1837. Le note di viaggio del conte Arese
"Un antico popolo, primo e legittimo padrone del continente americano, si squaglia come la neve sotto i raggi del sole ogni giorno che passa. Al suo posto, negli stessi luoghi, un'altra razza cresce con una rapidità ancor più sorprendente" scriveva Alexis de Tocqueville nel suo diario di viaggio americano. Era il 1831 e quel diario può forse considerarsi il primo dolente riconoscimento di un popolo che scompariva. E questo diario del 1837 di Arese, conte lombardo, liberale in esilio, seguace del futuro Napoleone III, può forse considerarsi il secondo. In America, Arese viaggia dall'est all'ovest, verso la frontiera, avventurosamente verso i territori Sioux. Un popolo che, al primo contatto, gli desta repulsione, poi impara a conoscere, infine gli suscita pietà e gli risveglia il disagio della civiltà. Compie lo stesso tragitto della progressiva modernizzazione. Sono infatti gli anni in cui negli Stati Uniti approda la rivoluzione industriale. Che Arese registra, interpretandola, lui italiano, come un fenomeno tipicamente americano. L'America, non era per lui, a differenza di Tocqueville, il futuro dell'umanità. E questo distacco dota le sue note di viaggio di un esotismo curioso e oggettivo.
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