Piccola posta
Ho desiderato, a volte, di scrivere come certe signore fanno la calza. Un diritto e un rovescio, ogni tanto un'occhiata, una misura, e magari disfare tutto e ricominciare. La galera esaudisce, come in una caricatura, questo desiderio. Tutto va avanti e indietro, tutto si fa e si disfa, a vanvera. Per esempio: camminare. Intanto, l'aria aperta è una così sparuta concessione che si chiama tecnicamente "aria", ha il suo tempo fisso, l'"ora d'aria" - una bolla di sapone - e il suo cortile obbligato. L'aria aperta del carcere è un'aria chiusa. I suoi avventori sono riservati: niente persone dell'altro sesso, niente bambini, niente animali, salvo qualche volo d'uccello subito spaventato d'esser capitato in un ritaglio di cielo vigilato coi mitra. Guardo i detenuti al passaggio - e me stesso. Camminano: cioè vanno macchinalmente avanti e indietro, da un muro a un altro muro, avendo cura di fare dietrofront un po' prima di aver esaurito lo spazio (una superstizione, credo) per sgranchirsi: in realtà cedendo a quel viavai smanioso che è di tutti gli animali in gabbia. Su e giù, una calza frenetica sempre destinata a perdere i punti. Anche la scrittura va su e giù - mi ricordo la bella parola scolastica, "bustrofedica", da sinistra a destra e da destra a sinistra, come i buoi tirando l'aratro. Scrittura di galera: va avanti e indietro per niente, come le camminate all'ora d'aria. Rimbalza da un muro all'altro, da un giorno all'altro. Si disfa. Qui è stata raccolta in volume, addirittura. Il titolo però avverte: non sono neanche lettere dal carcere. Piccola posta di tutti i giorni, per una rubrica sul "Foglio" (grazie). La traccia di un andirivieni buttato via. Lo dedico lo stesso: a Silvia e a Francesca. Ho correto le bozze. Finisce un altro aprile. Fuori piove da due giorni, e c'è una guerra da quattro settimane. Sono qui da ventisette mesi. Sette paia di scarpe ho consumato, e non sono andato da nessuna parte.(Adriano Sofri)
Momentaneamente non ordinabile