I sogni di Tristan
Tristan da Cunha, un'isola desolata e una manciata di scogli freddi e brulli, un vulcano bizzarro, otto ceppi familiari che perpetuano la vita in una problematica successione genetica a 37° di latitudine sud, nel cuore delle bufere e dei venti. La storia di quest'isola atlantica potrebbe essere contenuta in poche righe se i suoi fantasmi non emergessero dal sonno eterno per narrare in prima persona la loro esistenza e tentare di spiegare perché un giono si sono fermati laggiù, credendo quel luogo il centro dell'oceano. Voci di naufraghi, balenieri, avventurieri, soldati, disertori, prostitute e schiave negre si incrociano in quello scoglio di salvezza, in quel granello di mondo dimenticato dalle rotte, scartato dai postali, appena sfiorato dai transatlantici. E i loro figli e discendenti si sentono egualmente posseduti da un'amante difficile e unica sparsa nell'immensità bituminosa dell'oceano e intrigata solo dai quaranta ruggenti. Una Spoon River atlantica con tempeste e bonacce, eruzioni vulcaniche e paesaggi incontaminati, dolorosi addii e inspiegabili ritorni, legni scricchiolanti e boline strappate, tesori perduti e lettere mai spedite, donne che invocano naufragi e marinai che pregano, generazioni che si susseguono avvinte dal respiro degli assenti.
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