Liberi di morire. Dentro la guerra sulle strade dell'Iraq
Doveva essere un'operazione lampo, preventiva, chirurgica. Una tappa obbligata nella lotta al terrorismo, una guerra 'giusta' per difendere l'Occidente e restituire dignità e libertà agli Iracheni. Ma la Baghdad neo-liberata in cui Sergio Ramazzotti arriva nell'aprile di quest'anno è lo specchio di un paese straziato, completamente allo sbando, lontano anni luce dalle scene di esultanza popolare coreografate dai marines e puntualmente riprese dalle TV di tutto il mondo. Per raccontare il vero Iraq, Ramazzotti lascia la capitale e i colleghi asserragliati all'Hotel Palestina e parte, con il taccuino in tasca e la macchina fotografica a tracolla, per un viaggio che lo porterà fino a Karbala, passando per Tikrit, Samarra, Kirkuk, Mosul e Najaf. Il risultato è un documento straordinario, un reportage 'ad altezza d'uomo', traboccante di incontri, emozioni e storie palpabilmente, disperatamente reali. Come quella della dottoressa Lilaq, annichilita di fronte al suo laboratorio distrutto, dove le fiale rotte disseminate per terra recano scritte terrificanti come "Antrace" e "HIV"; o di Ahmed, ragazzo appena adolescente traumatizzato dallo scoppio di una mina che minaccia di annientare la sua virilità; o di Kharim, ex capitano di una squadra di calcio agli ordini diretti di Uday, spietato figlio maggiore di Saddam. O come quella di Mohamed, regista televisivo curioso e pieno di risorse, che accompagna l'autore nel suo viaggio. Proprio la vicenda di Mohamed, che dall'esperienza uscirà trasformato e armato di kalashnikov, è la parabola del destino di un popolo a lungo oppresso e offeso, affacciato su un nuovo, agghiacciante baratro di violenza e di incertezza.
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