Le chiavi dell'Egitto
Il 14 settembre 1822 Jean-François Champollion irrompe senza fiato nelI'ufficio del fratello Jacques-Joseph, i suoi appunti e disegni stretti al petto. Getta tutto sul tavolo, gridando: "Je tiens I'affaire!". Sta per cominciare a esporre la sua intuizione, quando si accascia sul tappeto, privo di sensi. Il fratello, per qualche istante, lo crede morto. In realtà Champollion aveva appena vinto una sfida importante, forse la più importante nella storia della cultura: aveva finalmente trovato la chiave per trasformare I'impenetrabile foresta dei geroglifici in una scrittura chiara e coerente. Era la fine di una corsa iniziata più di vent'anni prima, durante la quale studiosi di tutto il mondo non si erano risparmiati gli insulti più lividi. De Sacy in Francia e Akerblad in Svezia si erano ritirati prima ancora di iniziare; Seyffarth, in Germania, aveva sbagliato completamente direzione. Ben presto solo due uomini erano rimasti in gara, un francese e un inglese: Jean-François Champollion e Thomas Young. Non v'era alcun bando ufficiale, nessun premio in denaro, ma entrambi sapevano che cosa ci fosse in palio: la fama immortale per I'uomo che avesse liberato l'Egitto da millenni di oscurità.
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