Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare
Il triplice fischio decreta la fine della partita. 1-0, gol di Platini su rigore. Trent'anni di attesa, ma finalmente la Juventus si è aggiudicata la Coppa dei Campioni. I tifosi esultanti invadono il campo. Platini fa il giro d'onore sollevando il trofeo. Il Liverpool si ritira sconfitto. Nel mondo, quattrocento milioni di spettatori assistono alla scena che va in onda dalla capitale d'Europa. Sarebbe il trionfo del calcio, se non fosse il 29 maggio 1985, se lo stadio non fosse l'Heysel, se prima dell'inizio 39 persone non fossero morte, schiacciate, calpestate, picchiate sui gradini del Blocco Z. Trentanove vittime, 32 italiani. Dopo, i "mai più" di circostanza si intrecciano alle polemiche sulle responsabilità di una catastrofe annunciata. Quelle degli hooligan, certo. Ma non solo. Un balletto di accuse e scuse, su cui ha prevalso la legge del voltare pagina. Nessuno ha pagato. Nessuno se non le vittime e i loro familiari, che non hanno dimenticato il trattamento in terra belga, il razzismo anti-italiano, le salme inviate in patria non ricucite dopo l'autopsia. E neppure le scene di esultanza allo stadio e all'aeroporto per un trofeo che per molti dovrebbe essere restituito, né l'imbarazzato silenzio negli anni successivi. A vent'anni di distanza, un importante reporter ci offre una cronaca illuminante di quella notte infernale e - soprattutto - una ricostruzione sconvolgente e imparziale di tutto ciò che è accaduto dopo. È l'antidoto per un clamoroso caso di rimozione, che ci ricorda testardamente che il sangue non si lava.
Momentaneamente non ordinabile