La Biennale di Venezia. 60ª mostra internazionale d'arte cinematografica. 18ª settimana internazionale della critica. Ediz. italiana e inglese
Dopo l'edizione pienamente riuscita dello scorso anno (consensi critici pressoché unanimi, Premio ufficiale De Laurentiis assegnato 'ex aequo' a due film della Settimana Internazionale della Critica, altri premi minori), la SIC 2003 tenta di ripetere il successo con un programma che, almeno sulla carta, si presenta tanto interessante quanto sorprendente. E' sorprendente, infatti, che per la prima volta dopo molti anni non ci sia un film hollywoodiano; è sorprendente, inoltre, che il continente maggiormente rappresentato sia quello asiatico, con tre film (della Corea del Sud, dell'India e di Singapore) a fronte di due film europei (uno italiano e uno francese) e di due film americani (uno canadese e uno argentino); è sorprendente, infine, che, in via del tutto eccezionale, venga presentato un 'ottavo film', anch'esso orientale, firmato da una regista quindicenne, l'iraniana Hana Makhmalbaf, ultima figlia d'arte della famiglia, o meglio, della 'factory' Makhmalbaf. Dunque molto cinema, per così dire, esotico, in quanto proveniente da cinematografie lontane, in qualche caso emergenti, e, forse, poco contaminate dai modelli (non solo cinematografici) dell'Occidente. Per la maggior parte di questi film, considerando soprattutto i rispettivi paesi d'origine, le scelte dei selezionatori - come sempre orientate dal duplice scopo di scoprire nuovi talenti, nuovi valori filmici, e di favorirne la promozione - possono risultare particolarmente utili ai fini, appunto, della loro conoscenza e diffusione internazionale. Peraltro, è motivo di particolare soddisfazione trovare anche quest'anno nel cartellone della Settimana un'operaprima italiana ("Ballo a tre passi", di Salvatore Mereu), dato che il nostro cinema, in questa edizione della Mostra Internazione d'Arte Cinematografica, appare benissimo rappresentato con opere di registi che appartengono a generazioni diverse ed evidenziano diverse idee di cinema; ma che hanno in comune l'obiettivo dell'autorialità, che hanno sempre saputo rischiare nelle individuazioni tematiche e nelle soluzioni formali, e che spesso hanno anche dimostrato una positiva 'diversità' nei modi di produzione dei loro film. Su questa linea ideativa-produttiva sicuramente intende porsi anche "Ballo a tre passi", che ci auguriamo possa costituire, con i suoi esiti giudicabili a Venezia, un'ulteriore conferma del miglioramento qualitativo finalmente riscontrabile nella nostra cinematografia. L'Evento Speciale della SIC consiste, quest'anno, nella proiezione dell'opera d'esordio, di uno dei maggiori autori cinematografici di tutti i tempi: "Barravento", di Glauber Rocha. Ci sono molti motivi che possono rendere intellettualmente assai stimolante la scoperta o la riscoperta di questo film, inedito in Italia e pochissimo visto nel mondo. Intanto si può trovare in "Barravento" molto del successivo, e più noto, cinema epico-lirico di Glauber: la precisione nel mettere a fuoco le identità socio-psicologiche dei personaggi, la trasparenza del discorso ideologico, la tensione visionaria, il senso del paesaggio, la demistificazione delle varie forme di alienazione, a cominciare dall'alienazione mistico-religiosa. In più "Barravento" merita di essere ricordato per la sua travagliata genesi e per il suo istituirsi come momento fondante del 'Cinema novo' brasiliano, stante la definizione che di questo importantissimo movimento artistico e culturale ha dato uno dei suo padri fondatori, Nelson Pereira dos Santos, il quale una volta disse: "Il 'Cinema novo' è Glauber a Rio". E Glauber a Rio era andato proprio per montare, assieme a Nelson, il materiale di "Barravento" girato a Bahia. In quanto frutto della più sfrenata libertà creativa individuale e, insieme, dell'amichevole collaborazione tra cineasti che condividevano lo stesso modo di pensare e praticare il cinema, "Barravento" vale ancora oggi, oltre che come fonte di emozioni estetiche e di valenze politiche, come una lezione. Una lezione, di cinema e di etica, che autori e critici cinematografici possono ora raccogliere e ripensare, anche in funzione delle loro attività. [...] (Dall'introduzione di Bruno Torri)
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