Cinquecento anni di tennis
Dopo aver frugato sottotetti e cantine, consumata una scrivania del British Museum, intervistato più di settecento addetti ai lavori, un giovane Clerici aveva finalmente dato alle stampe, nel 1974, il suo riassunto di ben 500 anni di tennis. Le risultanze di questa fatica erano state le sei traduzioni in USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Giappone, e insomma il successo mondiale. "II libro italiano più conosciuto dopo la Divina Commedia e Pinocchio" aveva affermato Enzo Biagi, mentre un altro estimatore di Clerici, Italo Calvino, l'aveva definito "uno scrittore in prestito allo sport". C'era tuttavia in questa etichetta, che Calvino voleva generosa, l'involontaria riserva di una società letteraria legata a vecchi schemi, non sappiamo più se snob o provinciali. Da allora, non meno di sei romanzi di quello che si autodefinisce uno "Scriba" avrebbero raccontato in primo piano, o sullo sfondo, l'uno o l'altro sport, un fenomeno sempre più importante della società contemporanea. Per non parlare di due commedie, entrambe ispirate a quella che Clerici chiama "la mia maîtresse", la grande tennista Suzanne Lenglen, alla quale è ovviamente dedicato uno dei più struggenti capitoli di questo libro. Ormai introvabile se non nelle librerie antiquarie, "500 anni di tennis" ritorna a proporsi non solo agli appassionati di questo sport - o meglio gioco - come la summa di una evoluzione storica, ma offre anche una lettura sociologica, e una squisitamente umana, soprattutto nelle occasioni in cui lo Scriba rifiuta di ergersi a Professore - e quale! - per ritornare Scrittore. In un prestito, gli auguriamo, a vita.
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