Alcool. Testo francese a fronte
L’apparizione di “Alcool” nel 1913 fu un vero avvenimento non solo per la poesia francese di quell’epoca, ma per l’intera poesia novecentesca. Basti pensare che in quello stesso anno Apollinaire diede alle stampe i suoi celebri saggi sulla pittura moderna e sui pittori cubisti, che avevano contribuito non poco a fare di questo scrittore, figlio di padre italiano d’origine svizzera che mai lo riconobbe, e di madre polacca, arrivato a Parigi già quasi ventenne, il principale promotore delle nuove idee estetiche. In un certo senso, tuttavia, questo aspetto certamente importante dell’opera di Apollinaire ha rischiato negli anni di darne un’immagine un po’ riduttiva. Apollinaire è stato un grande poeta anche indipendentemente dal suo coinvolgimento nei movimenti artistici di quegli anni, un poeta che rappresenta forse il più esemplare punto d’incontro tra tradizione e avanguardie; e da questo punto di vista, rileggere oggi la sua opera poetica, e in particolare “Alcool” in tutta la sua versatilità compositiva, è forse il modo migliore per rifare i conti con un autore la cui influenza è rimasta centrale in tutta la successiva poesia. Come scrive Fabio Scotto accompagnando questa sua traduzione, “Alcool” va a situarsi «a cavallo fra tradizione, lirismo, modernità e avanguardia, soddisfacendo nel contempo le esigenze del lettore popolare, che vi trova ballate rimate prossime alla tradizione medievale, così come quelle del lettore più esigente e colto, che qui si confronta con testi innovativi e sperimentali ricchi di rimandi mitologici a varie culture e dai tratti spesso esoterici»; una disparità di modi che se da un lato ha spesso disorientato la critica, dall’altro è essa stessa rappresentativa non solo del cantiere poetico di Apollinaire, ma anche del senso più veritiero della sua opera.