In ginocchio fino all'arcobaleno
Se è raro che una scrittrice romena scriva poesie direttamente in italiano, Eliza Macadan ci ha ormai abituati a considerarla una delle voci più originali e interessanti della poesia italiana contemporanea tout court, e questo nonostante la sua vita continui a svolgersi prevalentemente in Romania, tra Bucarest dove vive e la moldava Bacau dove è nata. È stata infatti la lingua italiana il suo principale polo di attrazione negli ultimi vent'anni, tanto che sono ben otto le pubblicazioni che si sono succedute in questo lasso di tempo: da Frammenti di spazio austero a Paradiso riassunto, da Il cane borghese a Anestesia delle nevi, da Passi passati a Pioggia lontano, da Zamalek a Pianti piano - quest'ultima apparsa in questa nostra collana. Una scelta, un tragitto, che sono stati forse anche il segno di quell'aprirsi alla libertà che i Paesi dell'Europa orientale riscoprivano solo alla fine del secolo scorso, dopo decenni di isolamento forzato; la libertà di muoversi, di varcare i confini, senza rinnegare in nulla la propria origine e la propria esperienza, ma con il desiderio di rivedere anche se stessi da una prospettiva diversa e più ampia. Una lingua che non è la nostra natale rappresenta sempre un altro-da-sé, e ancora di più nella poesia, che della lingua vuole sfruttare ogni aspetto, anche puramente fisico e sonoro; è già di per sé un invito a un altrove da cui guardarsi, da cui tornare a se stessi arricchiti e forse più compiuti. Ed è anche questo uno dei maggiori tesori della poesia di Eliza Macadan, nel suo verso italiano che ci parla da un altrove che riconosciamo come nostro e insieme come nuovo: frutto maturo di una civiltà poetica che non ha mai conosciuto confini.
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