Baroni di razza. Come l'università del dopoguerra ha riabilitato gli esecutori delle leggi razziali
Dopo più di mezzo secolo di procedure rimaste in ombra, questo volume riporta alla luce il meccanismo assolutorio del potere universitario e accademico nei confronti di quanti sostennero e si resero protagonisti delle leggi razziali fasciste. Se il caso Nicola Pende o Giacomo Acerbo suonano noti (ma i documenti sono inediti) i casi di Gaetano Azzariti, presidente della Corte Costituzionale e prima presidente del tribunale della razza, piuttosto che Antonino Pagliaro, prima linguista razzista e poi maestro democratico di Tullio De Mauro (difeso da De Mauro e assolto dall'epurazione grazie a una lettera di Guido Calogero) lo sono un po' meno. Il meccanismo baronale dei consigli di facoltà , il sostegno esplicito degli ordini professionali, fece sì che quasi tutti i professori razzisti, che non solo teorizzarono ma applicarono le leggi razziali, furono reintegrati grazie al voto compiacente dei loro colleghi. Compresi gli antifascisti: si pensi alla lettera inedita di Guido Calogero (filosofo antifascista) in difesa di Pagliaro. Il libro raccoglie anche la lettera di Guido Calogero in difesa di Antonino Pagliaro, la documentazione su Azzariti e quella sul suo collega Antonio Manca. E inedita anche l'autodifesa di Giacomo Acerbo che svela uno dei meccanismi attraverso i quali è stato possibile farsi riassumere dalle università . Inediti sono poi tutti gli appelli delle singole facoltà per riavere in cattedra i docenti razzisti. Saggio introduttivo di Pasquale Chessa.