Inghilterra. Dalla swimgin' London a Liverpool

Chiunque abbia affidato almeno una parte della propria vita al rock sa benissimo che parlare d'Inghilterra (e si badi, qui non sono stati presi in considerazione la Scozia e il Galles) significa fare i conti con nomi e movimenti che hanno influenzato non solo la storia della musica, ma gli stili, i modi di vestire, i nostri stessi ricordi. Chi non ha presente la prima volta che ha sentito una canzone dei Beatles? Chi non ha in mente come ci si vestiva negli anni Ottanta? Chi non ha mai avuto un amico, o un'amica, che ha scelto il nero goth (il nostro bastardizzato dark) come unico colore di abbigliamento? Chi non ha mai commentato gli ultimi pettegolezzi sulle liti dei fratelli Gallagher? Chi non si è rivoltato contro parenti scandalizzati dalle foto dei Sex Pistols? Chi non ha una nipote, o una figlia, che stravede per le Spice Girls o Robbie Williams? La musica rock inglese è qualcosa di più di un paesaggio immaginario, è una colonna sonora che fa parte delle nostre vite, che in qualche modo, a qualche incrocio, magari le ha anche cambiate, fornendo nuove prospettive. E Londra è sempre stata dietro l'angolo, oggi più che mai economicamente abbordabile, il luogo dove vive un amico, dove qualcuno ha scelto di affrontare gli studi, o di cercare lavoro. Eppure l'Inghilterra è lontana, lontanissima, se ci si chiede, come si fa sempre più spesso, perché sia stata in grado di vendere, e di vendersi, sfacciatamente, di generare continuamente movimenti e scene, risorgendo con nuovi idoli tutte le volte che l'America sembrava rubarle scettro e corona.