La piazza finanziaria ticinese e l'economia del Nord Italia
Dopo più di 200 anni di sviluppo di teorie economiche, non dovrebbe essere necessario ricordare con Adam Smith che “ogni uomo è incoraggiato a coltivare e portare alla perfezione il talento o l’inclinazione per un tipo particolare di occupazione” e rammentare con David Ricardo che ogni Paese ha interesse a specializzarsi nelle attività per le quali ha “un vantaggio comparato”. Da una parte, un territorio, quello ticinese, nel quale è cresciuto un segmento della piazza finanziaria svizzera declinata in funzione dei bisogni della clientela privata italiana, facendo perno sulla specificità internazionale “del fare banca” elvetico. Dall’altra parte, uno dei bacini economici europei più importanti, quello del Nord Italia, alla ricerca, non solo di investimenti per una maggiore efficienza produttiva, ma anche di consulenza per una migliore efficacia organizzativa. Nel mezzo, una frontiera politica con le sue ramificazioni normative. Quale migliore laboratorio per Adam Smith e David Ricardo! Se fossero stati nostri contemporanei, invece di scrivere di birrai e di fornai il primo, e di Inghilterra e di Portogallo il secondo, l’uno avrebbe preso a esempio finanza e aziende, l’altro Svizzera e Italia. La conclusione? Il “non senso storico” della separazione artificiale di questi due spazi economico-finanziari intrinsecamente legati. Ed è in questo ordine d’idee che undici specialisti (accademici e professionisti), partendo da un’approfondita analisi della struttura della produzione e dei servizi nel quadro normativo della regione insubrica, presentano qui un nuovo modello di sviluppo dove attività e strumenti vedono il loro compimento in una dimensione cross-border.
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