Enti locali e fiscalità nel '900. I cattolici e l'autonomia disconosciuta
Dall'Unità d'Italia, l'amministrazione finanziaria degli enti locali si è caratterizzata per il diverso grado di autonomia dal potere centrale. Il tratto comune è stata un'inefficienza nella raccolta delle risorse e un'inefficacia nell'allocazione delle stesse rispetto alla domanda con un allentamento della sussidiarietà tra le istituzioni e della solidarietà tra le aree. Tali circostanze hanno consolidato la deresponsabilizzazione degli amministratori locali per la spesa, il legame oneroso con le banche e, infine, il dissesto finanziario trasferito sul debito pubblico. L'azione dei cattolici, fautori delle autonomie in opposizione allo stato liberale sabaudo e, poi, come elemento istituzionale della Repubblica si è dimostrata esitante nel momento della responsabilità di governo tra la realizzazione di un principio della propria identità politica e la prospettiva di uno Stato unico attore in grado di modernizzare il paese e di armonizzare le diversità. Questa indeterminatezza ha riguardato primariamente la Dc ed è andata di pari passo all'ambivalente posizione delle sinistre con il sostegno al decentramento, quale espressione democratica, dipendente però dall'intervento dello Stato di fronte agli squilibri finanziari degli enti locali. Il progetto di Vanoni per una fiscalità degli enti locali compartecipata con lo Stato fu attenuato da scelte legislative ispirate alla 'tutela dell'interesse nazionale' come premessa a un'iniziativa riformistica.
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